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Maestro e Margherita (Il)
Nella Mosca staliniana, popolata di stupidi burocrati e di spregevoli privilegiati, gente meschina e feroce per la quale truffa, ipocrisia e delazione sono una seconda natura, è arrivato il diavolo. Sotto le spoglie di Woland, esperto di magia nera, e accompagnato da una bizzarra corte di cui fanno parte valletti, sicari, streghe e un gigantesco gatto parlante, per tre giorni Satana semina scompiglio tra l’intelligencija letteraria e in tutta la città. Un destino diverso è riservato solo al Maestro, uno scrittore chiuso in manicomio, autore di un romanzo su Ponzio Pilato rifiutato dalla critica e dagli editori, e alla sua infelice amante, Margherita, che sarà protagonista di una terrificante, travolgente notte stregata. Bulgakov compose il suo capolavoro negli ultimi dodici, amarissimi anni di vita, ostracizzato dal regime stalinista, senza la speranza di vederlo pubblicato. Riuscì tuttavia a trasformare la sua disperazione, la lotta contro l’angoscia e l’isolamento nell’oggetto e nel motore di un’opera d’arte assoluta. Per offrire un quadro dell’atmosfera storica e psicologica in cui Il Maestro e Margherita fu scritto, in questo volume sono raccolti anche il racconto incompiuto All’amica segreta e la lettera Al governo dell’Urss, inviata dall’autore stesso nel 1930 a Stalin, cui si aggiungono la Postfazione di Igor Sibaldi e le note della curatrice Serena Prina, aggiornate alle più recenti acquisizioni critiche.
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M. L’uomo della provvidenza
All’alba del 1925 il più giovane presidente del Consiglio d’Italia e del mondo, l’uomo che si è addossato la colpa dell’omicidio di Matteotti come se fosse un merito, giace riverso nel suo pulcioso appartamento-alcova. Benito Mussolini, il “figlio del secolo” che nel 1919, rovinosamente sconfitto alle elezioni, sedeva nell’ufficio del Popolo d’Italia pronto a fronteggiare i suoi nemici, adesso, vincitore su tutti i fronti, sembra in punto di morte a causa di un’ulcera che lo azzanna da dentro. Così si apre il secondo tempo della sciagurata epopea del fascismo narrato da Scurati con la costruzione e lo stile del romanzo. M. non è più raccontato da dentro perché diventa un’entità distante, “una crisalide del potere che si trasforma nella farfalla di una solitudine assoluta”. Attorno a lui gli antichi camerati si sbranano tra loro come una muta di cani. Il Duce invece diventa ipermetrope, vuole misurarsi solo con le cose lontane, con la grande Storia. A dirimere le beghe tra i gerarchi mette Augusto Turati, tragico nel suo tentativo di rettitudine; dimentica ogni riconoscenza verso Margherita Sarfatti; cerca di placare gli ardori della figlia Edda dandola in sposa a Galeazzo Ciano; affida a Badoglio e Graziani l’impresa africana, celebrata dalla retorica dell’immensità delle dune ma combattuta nella realtà come la più sporca delle guerre, fino all’orrore dei gas e dei campi di concentramento. Il cammino di M. Il figlio del secolo – caso letterario di assoluta originalità ma anche occasione di una inedita riaccensione dell’autocoscienza nazionale – prosegue qui in modo sorprendente, sollevando il velo dell’oblio su persone e fatti di capitale importanza e sperimentando un intreccio ancor più ardito tra narrazione e fonti dell’epoca. Fino al 1932, decennale della rivoluzione: quando M. fa innalzare l’impressionante, spettrale sacrario dei martiri fascisti, e più che onorare lutti passati sembra presagire ecatombi future.
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Libretto rosso di Gesù. Strappato alla c
Nella Palestina di duemila anni fa, in una terra oppressa dalla dominazione romana e angariata dalla gerarchia sacerdotale, collusa con il potere di Roma, la predicazione di Cristo fu un fatto talmente eccezionale da giungere fino a noi. E in effetti il corollario di persecuzione e morte che accompagna il figlio del falegname è meno difficile da capire se, pensando a Gesù, si pensa a qualcuno più interessato a cambiare radicalmente questo mondo che a rimandare la “salvezza” all’avvento di un ipotetico mondo a venire. Le stesse immagini che accompagnano l’esistenza del re dei Giudei – dalla cacciata dei mercanti dal Tempio al Discorso della montagna, in cui si teorizza la necessità di sovvertire la povertà – sembrano più in linea con la biografia di un rivoluzionario che con quella di un pio adoratore dello spirito. Portate “fuori dal tempio” dalla ricerca di Fabio Zanello e strappate a duemila anni di censura ecclesiastica, queste immagini si traducono in un “quinto vangelo”, Il libretto rosso di Gesù, mostrandosi finalmente per quello che sono: una battaglia mai conclusa per conquistare – qui e ora – l’unica, vera pace. Quella della giustizia sociale.
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