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Noi Siamo Erbacce. cos’è la botanica sociale
Le erbacce sono spesso considerate come piante inutili o dannose, ma in realtà sono essenziali per la biodiversità e la sostenibilità degli ecosistemi.
Allo stesso modo, le persone che vengono considerate come “erbaccia” dalla società dominante sono spesso le più innovative.
Ferrari delinea un quadro sociale e politico che associa le erbacce a movimenti e individui che si oppongono alle norme costituite, incoraggiando il riconoscimento della bellezza e del valore della diversità.
Un percorso analitico che esplora la globalizzazione delle disuguaglianze, offrendo una visione articolata e ricca di spunti sulla complessità dei fenomeni migratori.
Questo libro introduce al concetto di botanica sociale, un campo di studio interdisciplinare che esplora il legame tra piante e società umana, offrendo una prospettiva unica sulla connessione tra natura e cultura.
Prefazione di Bruno Bignami
Postfazione di Gianni Tamino
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Il libro dell’incontro
Questo libro cambia la storia d’Italia. L’incontro di cui parla – fra vittime e responsabili della lotta armata degli anni settanta – è infatti destinato ad avviare un radicale cambio di paradigma storico: non si potrà più guardare agli «anni di piombo», ai loro fantasmi e incubi, con gli stessi occhi; né si potrà tornare a un’idea di giustizia che si esaurisca nella pena inflitta ai colpevoli. Le prime pagine ancora oggi dedicate alla lotta armata e alle stragi, le centinaia di libri pubblicati, i film, le inchieste dimostrano non tanto un persistente desiderio di sapere – comunque diffuso, anche a causa di verità giudiziarie spesso insoddisfacenti –, ma anche e soprattutto un bisogno insopprimibile di capire, di fare i conti con quel periodo, fra i più bui della nostra storia recente. È proprio muovendo dalla constatazione che né i processi né i dibattiti mediatici all’insegna della spettacolarizzazione del conflitto sono riusciti a sanare la ferita, che un gruppo numeroso di vittime, familiari di vittime e responsabili della lotta armata ha iniziato a incontrarsi, a scadenze regolari e con assiduità sempre maggiore, per cercare – con l’aiuto di tre mediatori: il padre gesuita Guido Bertagna, il criminologo Adolfo Ceretti e la giurista Claudia Mazzucato – una via altra alla ricomposizione di quella frattura che non smette di dolere; una via che, ispirandosi all’esempio del Sud Africa post-apartheid, fa propria la lezione della giustizia riparativa, nella certezza che il fare giustizia non possa, e non debba, risolversi solamente nell’applicazione di una pena. Il libro dell’incontro racconta questa esperienza, accostando una rigorosa riflessione metodologica alle vive voci dei protagonisti, alle lettere che si sono scambiati negli anni, alle loro parole fragili, pronte al cambiamento, alla loro ricerca di una verità personale e curativa che vada oltre la verità storica e sappia superare ogni facile schematismo. Perché solo cercando insieme la giustizia, la si può, almeno un poco, avvicinare.
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Il secondo sesso
Con Il secondo sesso Simone de Beauvoir affranca la donna dallo status di minore che la obbliga a essere l’Altro dall’uomo, senza avere a sua volta il diritto né l’opportunità di costruirsi come Altra.
«Testo sacro del femminismo che un editto Vaticano nel 1956 mise all’indice, Il secondo sesso è una riflessione filosofica che applica l’esistenzialismo di Sartre ai temi dell’emancipazione femminile, sottraendo la donna a un destino biologico che la esclude dalla storia, ma anche all’interpretazione fallocentrica di Freud.» – Cristina Taglietti, la Lettura
«Tutto ciò che è stato scritto in questi settant’anni dai vari femminismi, pro e contro di lei, le ricerche, le battaglie, le conquiste nasce da questo libro, raccontato in una lingua squisita, con una cultura immensa, filosofica ed esistenzialista.» – Natalia Aspesi, Robinson
«Un giorno ebbi una rivelazione: questo mondo era maschile; la mia infanzia era stata nutrita da miti forgiati dagli uomini, e io non avevo reagito, proprio come se fossi stata anch’io un ragazzo.»
Con veemenza da polemista di razza, Simone de Beauvoir passa in rassegna i ruoli attribuiti dal pensiero maschile alla donna – sposa, madre, prostituta, vecchia – e i relativi attributi – narcisista, innamorata, mistica. Approda, nella parte conclusiva, dal taglio propositivo, alla femme indépendante, che non si accontenta di aver ricevuto una tessera elettorale e qualche libertà di costume, ma che attraverso il lavoro, l’indipendenza economica e la possibilità di autorealizzazione che ne deriva – sino alla liberazione del suo peculiare “genio artistico”, zittito dalla Storia – riuscirà a chiudere l’eterno ciclo del vassallaggio e della subalternità al sesso maschile. L’avvenire, allora, sarà aperto. Con una determinazione prima sconosciuta e un linguaggio nuovo, che tesse il filo dell’argomentazione attraverso un’originale mescolanza di mito e letteratura, psicoanalisi e filosofia, antropologia e storia, Simone de Beauvoir sfida i cultori del gentil sesso criticando le leggi repressive in materia di contraccezione e aborto, il matrimonio borghese, l’alienazione sessuale, economica e politica. Provoca il pubblico conservatore, cerca il riconoscimento personale, rivendica la solidarietà collettiva. Prefazione di Julia Kristeva. Postfazione di Liliana Rampello.
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Donne, razza e classe
Uscito per la prima volta negli Usa nel 1981, è considerato uno dei testi pioneristici del femminismo odierno. È con questo fondamentale lavoro infatti che Angela Davis ha aperto un nuovo metodo di ricerca che appare più attuale che mai: l’approccio che interconnette i rapporti di genere, razza e classe.
Il libro sviluppa un saggio scritto in carcere nel 1971, uno studio storico sulla condizione delle afroamericane durante lo schiavismo volto a riscoprire la storia dimenticata delle ribellioni delle donne nere contro la schiavitù. Racconta episodi tragici della storia degli Stati Uniti, frutto di miti ancora in voga come quello dello “stupratore nero” e della superiorità della “razza bianca”, ma anche eccezionali e coraggiosi momenti di resistenza. Raccontando le storie di alcune delle figure chiave della lotta per i diritti delle donne, delle nere e dei neri, e della working class statunitense, ricostruisce i rapporti tra il movimento suffragista e quello abolizionista, gli episodi di sorellanza tra bianche e nere ma anche le contraddizioni tra un movimento prevalentemente bianco e di classe media e le lotte e i bisogni delle donne nere e delle lavoratrici. Tensioni e contraddizioni che si ripresentano di nuovo tra il movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta e le afroamericane.
La lezione principale di Angela Davis è quella di abbandonare l’idea di un soggetto “donna” omogeneo, nella convinzione che qualsiasi tentativo di liberazione, per essere realmente universalista, deve considerare la storia e la stratificazione delle esperienze e dei bisogni dei diversi soggetti in gioco.
Un testo che offre prospettive cruciali per il rinnovamento profondo di teorie, linguaggi e obiettivi del movimento femminista, in una fase storica come quella odierna segnata da una presenza crescente di donne migranti in Italia e in Europa, e un sempre più allarmante ritorno del razzismo.Razzismo e sessismo frequentemente convergono e la condizione delle donne lavoratrici bianche è spesso legata allo status oppressivo delle donne di colore.
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Il malinteso della vittima. Una lettura femminista della cultura punitiva
nullIl termine «sicurezza» si è spogliato, ormai da parecchi anni, delle caratteristiche sociali cui era legato (lavoro, salute, diritti): oggi ci si sente al sicuro con condizioni che ci proteggono individualmente dal rischio di diventare «vittime» di comportamenti dannosi. Da qui l’assunto che tutte e tutti siamo vittime potenziali; quindi fenomeni sociali complessi vengono governati con il codice penale e, di fatto, si criminalizza la povertà, la marginalità sociale, l’immigrazione. Ma com’è successo tutto questo? E soprattutto, com’è successo che a questa deriva securitaria aderiscano «movimenti politici il cui obiettivo è la libertà dallo sfruttamento, dall’oppressione, dalla violenza dei gruppi di cui si fanno portavoce? Perché, in particolare, questo succede in un movimento come quello femminista, che è ri-nato (in Italia, ma non solo) contro la rappresentanza (ognuna parla per sé, a partire da sé), nel contesto delle spinte antiautoritarie degli anni Sessanta?».
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