Nancy Fraser, filosofa statunitense, femminista, socialista, insegna alla New School for Social Research di New York ed è una delle più importanti intellettuali americane. I suoi dialoghi con alcuni dei principali esponenti della teoria critica internazionale – da Judith Butler ad Axel Honneth, passando attraverso Iris Marion Young e Richard Rorty – ne fanno uno dei punti di riferimento del dibattito internazionale sulle (in)giustizie globali. Fra le sue numerose opere sono state tradotte in italiano La giustizia incompiuta (2011), La bilancia della giustizia (2012), Il danno e la beffa. Un dibattito su redistribuzione, riconoscimento, partecipazione (2012), Fortune del femminismo (2014), oltre a uno dei più fortunati e intensi dibattiti di filosofia politica degli ultimi decenni: Redistribuzione o riconoscimento? Una controversia politico-filosofica insieme ad Axel Honneth (2007).

  • capitalismo cannibale

    Debito schiacciante, lavoro precario e mezzi di sostentamento assediati; servizi in calo, infrastrutture fatiscenti e confini induriti; violenza razziale, pandemie mortali e condizioni meteorologiche estreme; il tutto sovrastato da disfunzioni politiche che bloccano la nostra capacità di immaginare e attuare soluzioni alternative. Questo libro è un’immersione profonda nella fonte di tutti questi orrori. Diagnostica le cause della malattia e dà i nomi dei colpevoli.

    ‘Capitalismo cannibale’ è l’espressione che usa Nancy Fraser per definire il sistema sociale che ci ha portato a questo punto. La metafora del cannibale è calzante per l’analisi della società capitalista caratterizzata da una frenesia alimentare istituzionalizzata in cui il piatto principale siamo noi. Ma Fraser precisa e amplia anche la parola ‘capitalismo’ che, a suo giudizio, designa un ordine sociale che consente a un’economia orientata al profitto di predare i supporti extra-economici di cui ha bisogno per funzionare: la ricchezza espropriata dalla natura e dai popoli assoggettati; le molteplici forme di lavoro di cura, cronicamente sottovalutate quando non del tutto disconosciute; i beni e i poteri pubblici che il capitale richiede e allo stesso tempo cerca di limitare; l’energia e la creatività delle persone che lavorano. Per questa ragione la parola capitalismo non si riferisce a un tipo di economia, ma a un tipo di società: quella che autorizza un’economia ufficialmente designata ad accumulare valore monetizzato per gli investitori e i proprietari, mentre divora la ricchezza non economizzata di tutti gli altri. Come l’uroboro che si mangia la coda, la società capitalista è pronta a divorare la sua stessa sostanza.

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